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Lorenzo Calogero - Скупой в своих мыслях

Скупой в своих мыслях
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Название:
Скупой в своих мыслях
Lorenzo Calogero

Жанр:

Классическая зарубежная поэзия

Изадано в серии:

неизвестно

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неизвестно

Год издания:

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неизвестно

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Краткое содержание книги "Скупой в своих мыслях "

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Ma perché da parti uguali erme divise

non più ti soccorrono fermi i tuoi pensieri

sopra i tuoi fiori nella medesima

aridità che ora scintilla essa balena

e ti accorgi di essere più solo.

Avaro nel tuo pensiero,

la stessa sostanza arida t’invischia

solo per tuo diletto.

Erme cinte di rose

appaiono già tutte le tue cose.

Nato e a lungo vissuto appartato a Melicuccà (Reggio Calabria), Lorenzo Calogero (1910-1961) studiò Ingegneria e poi Medicina a Napoli, dove conseguì la laurea nel 1937. Esercitò saltuariamente la professione medica fino al 1955, dedicandosi intanto alla filosofia e alla poesia. Tentò di stabilire contatti con poeti, riviste e editori importanti ma senza successo, mentre la scrittura prendeva sempre più la forma di un destino e di una vocazione assoluti. È morto in circostanze mai definitivamente chiarite, nella sua casa di Melicuccà, nel marzo 1961. Dopo la morte, nel 1962, scoppiò un vero e proprio caso letterario e Calogero venne salutato come un nuovo Rimbaud. Poi, improvvisamente, di nuovo l’oblio. La storia letteraria ha lasciato troppo a lungo nell’ombra una delle voci più alte del Novecento poetico italiano.

Poesia / 54


Lorenzo Calogero


Avaro nel tuo pensiero

A cura di

Mario Sechi e Caterina Verbaro

Il progetto editoriale per la pubblicazione dell’opera

Avaro nel tuo pensiero di Lorenzo Calogero

viene realizzato grazie al contributo di UBI Banca Carime,

e attraverso la cooperazione scientifica fra l’Università della Calabria,

che custodisce l’Archivio del poeta,

e l’Università degli Studi Aldo Moro di Bari.

© 2014 Donzelli editore, Roma

Via Mentana 2b

INTERNET www.donzelli.it

E-MAIL editore@donzelli.it

Progetto grafico di Carlo Fumian

ISBN 978-88-6843-344-4


Indice

«Avaro nel tuo pensiero»: la poesia come surrogato della felicità
di Caterina Verbaro

Nota al testo
di Mario Sechi

Ringraziamenti

Avaro nel tuo pensiero

Sebbene le clemenze

Sono in sogno

Se i moniti sono solidi

Se i giorni sono profughi

Decaduto ogni giorno

Non vale gioia densa o silenzio

Forse da autunnali chiome

Ti siedi fra noi

In questa sera in cui s’accendono

Sono moniti gli accenti

Lugubri magie sono le tue parole

La verità comprende

Scarno saliva un lume

Ogni minuscolo attimo

Quando mi maraviglio

Ora so. Poteva pure non essere

Forse perché volubile

Non mi piace intendere

Sento capricciosi eventi

A prova non più erano

In segni sopra le mutate cose

Perché accadrà crudelmente

Quando i monti

Tu potevi non chiamarmi

Forse l’annuncio vano delle parole

Non so quali siano

Un punto, una sagoma

Non mai il mio riso

È permanentemente vero

Come acqua cedua

Perché da tenui parti

Se savio mi compongo

La vita chiomata, al largo, dei sogni

Son distici a catena e l’innegabile clemenza

Se accanto al declinare

Non mi ricorderò mai più di te

Gracili corolle erano

Se qualcosa timido risuona

Ritorna il sogno. Non più mancare

Quando con impalpabili gote

Se passibile l’eco

Perché amalgame non siano

Puoi ora ai margini

Quando non più lugubre

Ricordo cosa fosse simile alla ruota

Se mutate ombre

I traguardi frugano le ore

Non più ti domando

Mi conviene sotto archi

Forse non fu più che sogno

Il sole delle case ha invaso le cime

Per quanto gli screzi sian folti

Tu pure sapevi nei segni

A rilento le stesse sostanze

Non posso muovermi

Quando remoto al dolore

Quando la vita fu una rapida scintilla

Non posso dissuadermi anch’io

Non era più una pallida rosa

Sono arsi i movimenti

Non altra sagoma era

Odo qualcosa con ordine

Qua conobbi quanto fragile era

L’aria grigia esterrefatta

Scende una chiarità oscura

Cadono vani sogni

Quali beati lampi

Non più mi ricordo di te, né più ritorno indietro

Forse perché partecipi di un modo esatto

Sono minacciosi i giorni

Non sono per te più di rimando

Sono risospinto indietro

Gamme lucenti sui tuoni

Quando dai rigori chiusi

Intima una vita liquida

Nella vita una piega risuona

A discreto suono

Gemme roride sono una nascita

T’appoggi o tu sei simile

Quando da monotone cose

Avaro nel tuo pensiero

Roso il sangue, una verbena

Vaghe gioie diafane

Non voglio ricordarmi più di te

A parti uguali, non più divise

Sebbene ombre vive

Fumigarono i giorni

Perché molte cose si ebbero

So di non esserti nato accanto

So che non occorre tempo

A tardo strazio la notte era

Sopra mormorii quadrati

Lontano sui misteri guardi

I sogni non sono proclivi

Rigidamente inclina

La selva conosce corrosa se stessa

A mutati sensi i venti gridano

La pioggia sorridente

Naufraghe e lente le ore discorrono

Alla fine i tuoi pensieri vagarono soli

Quando densa una pace era già una schiera

Perché di anno in anno

Ancora sogni. L’anima vagante

Se di mattino ti alzi

Fuggevoli gridi tocchi

Non volubili onde

Sapevi addormentarti

Sui monti sapevi vagare

Io sapevo esserti diverso

Il tempo della inumidita distanza

Quando qualcuno si riconsola

Pure perché il sapere sia più giusto

La fonte era umida degli occhi

Per quanto egli amò con gloria

Erano rose d’inverno

Forse di te non apprenderò

So, non valeva altra gioia

Quando da la solitudine

Se preso dalla sagoma

Nuvole sono già strano enigma

Non valgono mutevoli onde

Non altra lagrima amata

Se disperatamente l’anima

Non altra aria ebbe senso

In una triste ora

In erranti canti un usignolo

Quando ne l’ineluttabile chiarezza

Se rievoco ricordo cos’era

Non era più aereo, fuggente

Se di vetro il tuo viso

A somma nudità dell’essere

Naufraghi erano i gridi

Perché un povero cuore

Notizia su Lorenzo Calogero


«Avaro nel tuo pensiero»: la poesia come surrogato della felicità

di Caterina Verbaro

Beato chi ha trovato per tempo il suo centro di vita e che veramente si trova al centro di essa! Non proverà un desiderio spasmodico di poesia, di questo surrogato della felicità, ma quanto labile.

Lorenzo Calogero, Quaderni inediti, 1936

In una delle tante riflessioni sulla poesia annotate nei suoi quadernetti neri da scolaro, Calogero diagnostica lucidamente la difficoltà di condividere il proprio universo poetico, così dolorosamente segnato dall’intransitività:

L’impossibilità di scrivere poesia proviene principalmente dall’accorgersi di non possedere dei simboli che siano validi universalmente, simboli cioè che possano essere assimilabili in tutto agli umani segni attraverso cui si compie e si trasmette la comunicazione1.

La mancanza e la ricerca di tale condivisione simbolica universale segna come uno stigma i versi e la vita di Lorenzo Calogero: la sua vicenda biografica e poetica, indissolubilmente intrecciate, sono ugualmente connotate dall’isolamento, dal soliloquio, dal mancato ascolto e riconoscimento. Privata di un centro che ne sostanzi il fondamento stabile, l’esistenza di Calogero cerca incessantemente in una poesia altrettanto defocalizzata il proprio «surrogato della felicità» --">

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